Quante volte abbiamo comprato un prodotto che online sembrava stupendo e poi, arrivati a casa, era una caciotta fetecchia (chi guardava Bim Bum Bam ricorderà!)?
Dai vestiti da gran sera che arrivano dalla Cina e poi sono più adatti per andare a buttare la spazzatura, ai gioielli degli artigiani di Etsy che li metti due volte e cadono a pezzi.
Eppure, le foto erano così belle! Sulla modella stavano da dio. Sembravano così resistenti.
Così quando ho ideato il decalogo #andiamoalsodo per freelance e piccole ditte (lo trovi sul nostro Instagram), il secondo punto è stato proprio dedicato a questo: Una foto su Instagram non ti salva, se fai prodotti che fanno schifo. Del primo, cioè la passione, ho già parlato in questo post.
Oggi quindi parliamo di prodotti, cura e qualità. Per questo post, parto da una diretta fatta su Instagram in compagnia della meravigliosa artigiana Erika Rossin AKA Pretty in mad. Vende abiti e accessori handmade con vestibilità comode e pattern unici.
Perché nasce questo mito dell’immagine?
Secondo Erika perché IG inizialmente era super visivo e puntava tutto sulle belle foto. Oggi ci sono anche le Stories e le didascalie hanno un peso considerevole, ma noi siamo rimasti fedeli a quel primo imprinting: l’immagine conta.
E poi, e questo lo dico io, perché è una scorciatoia. A fare due foto carine col telefono di ultima generazione e tanti filtri son buoni tutti (non dico per dire, ci va solo un po’ di pratica): a creare prodotti con tutti i crismi, invece, ci vanno anche anni di studio, lavoro e sacrifici e non a tutti va di farli.
Alla ricerca della propria strada
Erika inizia su Etsy facendo accessori e poi approda all’abbigliamento. Cambiare è tipico di ogni business: nessuno è uguale a se stesso per troppo tempo. Ci si evolve per essere fedeli a noi stessi e per andare incontro ai gusti del pubblico. Pensa a noi di Zandegù: abbiamo iniziato facendo libri di narrativa e formazione per creativi e ora siamo esperti di comunicazione e marketing. Pensa a Chiara Gandolfi che aveva un’agenzia ed era nota come voice talent e oggi lavora da sola e ha consolidato soprattutto la parte di verbal designer.
Erika ha trovato la sua strada grazie a una questione pratica: adattarsi senza snaturarsi. Troppo complicato il multitaglia per una piccola ditta che lavora con sole 4 mani (Erika ha un’aiutante da qualche tempo)? Allora via di taglia unica: semplice da produrre, diventa la cifra distintiva del brand.
E in questi cambi di rotta, si migliora, non solo umanamente ma anche nei prodotti.
Qualità significa ricerca
Erika mi ha rivelato: “La ricerca è essenziale, ma è molto impegnativa e rischiosa. Spesso acquisti materiali che poi non sono funzionali al tuo prodotto: un investimento economico e di tempo da tenere in considerazione. Ruba anche tempo alla parte di produzione/creazione, perché la ricerca si estende anche ai pattern, ai tagli, agli artisti coi quali collaboro per creare stoffe totalmente personalizzate che vendo solo io”.
Qualità significa costi e prezzi più alti
Chi fa artigianato o vende consulenze ha prezzi più alti. Perché nel prezzo finisce: la materia prima, la manodopera, il lavoro intellettuale, la spedizione, il numero limitato di pezzi.
Difficile trovare da Zara un maglione di cashmere che ti dura 20 anni. Qualcosa non torna.
Decidere di fare prezzi più alti rispetto alla media è una scelta di posizionamento precisa. E la devi sentire tua: un core value del tuo brand che ti spinge, come nel caso ti Erika, a spendere di più per pagare i collaboratori e i materiali perché sennò “non sarei soddisfatta del risultato del mio lavoro”.
La price policy incide sul target di riferimento. Chi non riesce a percepire questo valore e a pagarlo di più, o chi non può permettersi il tuo prodotto/servizio, è automaticamente tagliato fuori e non fa più parte del tuo target.
Come fa il pubblico a valutare la qualità di un brand?
Veniamo al cliente. Io sono lì che vago per i campi del Tennessee di Instagram, vedo una bella foto, mi attira, compro. Come posso capire se il mio acquisto sta per rivelarsi una fregatura o meno? In questo Erika è davvero molto utile e ti dà due piccoli consigli interessanti:
- Controlla se sugli account e ci sono recensioni o feedback positivi di clienti.
- Guarda con attenzione le foto e controlla i dettagli.
Erika aggiunge: “Se sei convinto, devi provare, perché l’acquisto è alla fine l’unica cosa che conta. Ricordandosi sempre che, se l’azienda è seria, restituisce il prodotto se non si è soddisfatti. Insomma non bisogna aver paura di provare”. E se resti deluso, pace. Non tornerai una seconda volta.
Clienti che invece tornano
Lo dico sempre in tutti i miei corsi: il miglior cliente è quello che ha già comprato da noi. È caldo, pronto a ricomprare e spesso diventa brand ambassador, parlando bene di noi in giro.
Questi clienti sono affezionati: spesso apprezzano il brand anche per le persone che lo compongono. Nel caso di Erika, lei sostiene che uno dei valori forti della sua comunicazione è il fatto che non c’è niente di costruito. “La mia vita, le mie Stories, le mie foto sono quello che sono, sono io senza filtri”.
Clienti che si immedesimano
Una cosa che ho sempre apprezzato di Pretty in mad e che cito nei miei corsi è il fatto che Erika non ha paura di farsi vedere in foto mentre indossa le sue creazioni. Impara da lei: devi diventare il primo cliente di te stesso, orgoglioso dei tuoi prodotti, pronto a indossarli perché ti piacciono.
I profili più umani sono vincenti: il cliente si relaziona meglio con te artigiano, rispetto a un modello professionista: bello ma decisamente freddo.
Sito mio o marketplace?
Non c’è niente di male nell’iniziare la propria carriera vendendo nei mercatini o su Etsy o Big Cartel.
Quando le cose iniziano a farsi serie, si opta per un sito proprietario (e ovviamente si deve avere la P.IVA per essere in regola) con il proprio ecommerce, esattamente come ha fatto Pretty in mad. Il tuo sito è un grosso investimento, certo, ma ti permette di avere le chiavi del tuo negozio strette in mano, non devi pagare delle gabelle a terzi a ogni transazione e quello che incassi è tutto tuo.
Il traffico al sito lo devi portare tu ed ecco che, finalmente, possiamo parlare di comunicazione. Come vedi un argomento che arriva alla fine di tanti altri ragionamenti.
Finalmente ‘ste benedette foto su Instagram
Ecco allora che i social iniziano a rivestire un ruolo cruciale, per farti conoscere (brand awareness) e per convogliare persone sul tuo sito e farle diventare customer. Erika dedica tanto tempo alla comunicazione e alla produzione delle foto e delle didascalie che prepara prima.
Confessa che, invece, con le Stories non riesce a seguire una vera programmazione, le fa in modo randomico, interrompendo continuamente il suo lavoro: questo rende le sue giornate lavorative più lunghe e dispersive. Insomma, come dico sempre: il calendario ti salva le chiappe e fa risparmiare un botto di tempo!
Consigli finali
Mi piace finire questo post sull’importanza di dedicare attenzione alla qualità dei prodotti, con 3 consigli della nostra fidata Erika:
- Non smettere mai di formarti, per diventare sempre più bravo/a e migliorare nella qualità dei materiali (ricerca, ricerca, ricerca).
- Organizzati per pianificare al meglio la tua comunicazione col personal branding.
- NON FARE FINTA. Questo non significa far vedere tutto di te online, ovviamente, ma quello che racconti deve essere sincero.
Tocca a te!
Su questo “Non fare finta”, a me parte la ola: spesso siamo talmente condizionati dei profili degli altri che tendiamo a scimmiottarli risultando artefatti.
Tu cosa ne pensi di questo discorso? Quanta cura metti nei tuoi prodotti? Ti è mai capitato di comprare un prodotto perché la foto era bella e poi si è rivelato una fregatura? Faccelo sapere via email o su Instagram @zandegu_ Ricordati di usare l’hashtag #andiamoalsodo
Noi ci leggiamo la prossima settimana!