Perché si pubblicano troppi libri
Perché si pubblicano troppi libri
15 Dicembre 2016

Perché si pubblicano troppi libri

Quando le cose sono andate a frittole (e parlo di Zandegù cartacea) ci sono state un sacco di colpe degli altri e un bel po’ di cappelle nostre.

Ma perché fare introspezione quando ci si può lamentare?

Giusto, perdinci! Ogni tanto lamentiamoci. E questo è il post(o) per farlo. Diciamo che tutto congiurava contro di noi e il nostro business, in particolare congiurava l’intero sistema editoriale italiano.

Dalla distribuzione a certi librai: a pensarci bene, avremmo una parola buona per tutti. Ma non possiamo certo tediarti con un post lungo come Don Chisciotte, quindi iniziamo a lamentarci di una cosa ben precisa:

i troppi libri e le rese.

Sì, forse non lo sai ma i librai, dopo qualche tempo, se non riescono più a vendere un libro, possono renderlo al loro grossista. Quindi tu un mese vedi un rendiconto di 100 copie vendute e corri a stappare un Dom Perignon e il mese dopo vedi un rendiconto negativo di 99 copie e capisci che dovrai sfamarti a pane e cipolla. Ecco, i cinque anni di Zandegù su carta sono andati un po’ così.

Ma com’è possibile? E dopo quanto si rendono i libri? E perché?

Una questione di mignoli poco allenati

Allora, il libraio compra i libri che ritiene più adatti al suo negozio. Ma i libri che escono sono tanti. Se dopo 2 mesi circa il libro di Zandegù non vende, perché fargli occupare del prezioso spazio sullo scaffale, spazio che può essere preso da un libro più redditizio? Tanto vale renderlo. La resa è una manata in piena faccia all’editore. D’altro canto non è che il libraio si veda rendere dei soldi. In pratica, è come quando compri quella giacca maculata da Zara e in negozio ti sembra fighissima, poi torni a casa e capisci di aver fatto un errore epocale: Zara non ti rende i soldi, ma ti fa un buono su altri acquisti. Idem tra grossista e libraio. Solo che il buono lo deve fare l’editore!

Ecco che quindi i rendiconti finiscono con l’essere un continuo saliscendi: mantenere la barra dritta diventa un’impresa. È come stare attaccati al Blu Tornado solo con i mignoli, mentre quello va su e giù ai mille all’ora.

Arresi alle rese

Noi, dopo cinque anni e 18 libri, ci siamo proprio arresi alle rese. Non c’era modo di arginarle. È come se dovessi asciugare il Pacifico con un Mocio Vileda. Dopo un po’ non ce la fai più. Ho ancora 4 bancali di libri Zandegù destinati al macero che ho deciso di salvare e tenere nella cantina dei miei.

Ma ci sarebbero dei modi per ovviare alle rese? Sì, secondo noi Zandezii, ce ne sono due.

Uno è quello che mettono in atto i grandi gruppi editoriali, l’altro è quello che fanno gli editori indipendenti di un certo tipo.

I grandi gruppi fanno uscire più libri. Se ogni mese tu pubblichi 100 e ti rendono 50, l’unico modo per sopperire alle rese e immettere più carta sul mercato. A volte anche a scapito della qualità, perché lo scopo è far quadrare i conti.

Duecento

E così si è arrivati al punto che oggi escono più di 200 nuovi libri la settimana (d-u-e-c-e-n-t-o). In un Paese dove non si legge una ceppa, tra l’altro.

I piccoli editori indipendenti di un certo tipo (e dico “certo tipo” perché non è automatico che se sei piccolo pubblichi solo roba bella: di roba di merda pubblicata da piccoli editori è pienissimo), invece, fanno due cose: curano maniacalmente le loro uscite in modo da essere (si spera) notati dai librai più attenti e si adoperano per occuparsi in prima persona della distribuzione, cioè di far arrivare i libri in libreria (che è poi la preoccupazione principale). Se ci sono 200 concorrenti nuovi ogni settimana è chiaro che farsi notare è importantissimo. Quindi, molti editori attenti – come noi NON eravamo all’epoca (come già raccontavo qui) -, contattano i librai indie dello stivale, stringono accordi, si fanno vedere per un caffè, raccontano i libri che stanno per pubblicare, li spediscono in libreria, si occupano dei conti (soprattutto del recupero crediti, che è una bella rottura). Insomma, un lavoraccio che richiederebbe un commerciale a tempo pieno.

Esatto! Quando noi eravamo di carta, a un certo punto, a un commerciale ci abbiamo anche pensato. Non avevamo una lira per pagarlo, ma il problema principale non era manco quello: era che non ci sembrava così importante. Pensavamo che la qualità dei testi fosse l’unica cosa importante e che, a forza di dai e dai, ce l’avremmo fatta.

Quella cosa col mascara

E invece no: rompe le balle scendere a compromessi, ma va fatto.

Quando avevo 14 anni ero proprio un cesso a pedali, più simile a un camionista che a una ragazza. Però ero convinta che i maschi dovessero apprezzarmi per il mio cervello. A 14 anni. Capisci? Mi sembrava una cosa inaccettabile dovermi, tipo, truccare per farmi notare.

Lo so, lo so, è uno schifo e parte di me ha ancora la tuta XXXL dell’Adidas e un odio smodato per il mascara. Però, ogni tanto, tocca.

I libri belli sono merce rarissima, ma perché la gente li legga deve trovarli.

E lamentiamoci un altro po’, dai!

Insomma, avremmo dovuto essere più lungimiranti ma non lo siamo stati e pace. Però, visto che ti avevo promesso un post dove ci lamentavamo alla grande e non uno dove fare mea culpa, ecco che ti dico: che giramento di maroni che agli editori piccoli venga sempre richiesto uno sforzo disumano per fare tutto! Per stampare senza svenarsi ma senza che i libri facciano pettare, per trovare gli autori decenti, per pagare i diritti per un autore straniero scontrandosi con le case editrici grandi che prendono tutto e ti lasciano gli scarti, con i librai che magari non ti vedono in questo mare magnum, con il distributore che rema contro e tu ti devi pure ingegnare e fare da te, con i 200 libri immessi sul mercato che soffocano il tuo. E se ti chiami Zandegù e in libreria magari ci arrivi anche, sai dove finisci? Sull’ultimo scaffale.
Maledetto ordine alfabetico!

[Un grazie di cuore a Beatrice Dorigo, cara amica e libraia della Gang del pensiero per la preziosa consulenza!]

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