Essere ambiziosi non sta bene
Essere ambiziosi non sta bene
9 Marzo 2017

Essere ambiziosi non sta bene

È un po’ di tempo che sentivo il bisogno di scrivere qualcosa sull’ambizione. Per dire, io sono molto ambiziosa. Però, negli anni, ho notato che non sempre è vista come una cosa positiva. Se sei ambizioso sei un arrogante, un montato, un povero illuso. Per dire, io non credo di essere arrogante o montata e nemmeno una povera illusa.

Ridi ridi

Eppure, se dico che sogno di avere i corsi tutti sold out, la gente annuisce. Se dico che, tra 10 anni, mi auguro di contare qualcosa per la vita culturale di Torino, se dico che mi piacerebbe lasciare il segno in città con le mie idee e con le cose che faccio, ecco, io ti vedo che sei già lì che ridi sotto i baffi (e se non hai i baffi… beh, allora non so bene).

Affiliamo le unghie

Forse la gente pensa che ambisca a diventare assessore alla cultura, ma non pretendo tanto, non sarei nemmeno capace. Vorrei lasciare un segnetto, magari piccolo, come una mezzaluna di un’unghia contro il palmo della mano. Però, a differenza delle unghie, vorrei lasciare un segno che non va via dopo poco, ma che resta.

Vorrei che la gente si ricordasse di me, che si ricordasse di cosa ho messo in piedi con mio marito e un manipolo di matti che ci hanno dato fiducia.

L’ambizione è un elastico

L’ambizione, almeno nel mio caso, e nei casi di molti altri under 40 come me che conosco, è l’elastico di una fionda enorme che ti lancia lontano e, almeno secondo me, ti spinge a fare tre cose:

  1. a non accontentarti. Mai. Nemmeno quando tutti ti dicono che sei bravo, che ce l’hai fatta, che stai avendo successo. Perché, sempre secondo me eh?, il successo (come la passione di cui parlavo in questo post) è una faccenda illusoria. È quel pat-pat sulla schiena che ti fa sentire arrivato, cali le braghe e… taaac, te la pigli proprio in quel famoso posto. Non accontentarsi, dicevo. Perché c’è sempre un altro gradino da salire, un buco della serratura in più dove sbirciare, una corsa extra da fare. Non è detto che la prima idea che ti viene in mente sia quella migliore: è bene farsi venire dei dubbi e interrogarsi, per vedere se ci sono altre soluzioni. Il perfezionismo è il mio modo di non accontentarmi: a me pure se finiscono i bicchierini del caffè, quelli termici, durante un corso, mi viene una sincope. Persino se abbiamo quelli di plastica che vanno bene uguale. Sono matta? Forse. Lo so che “perfect is the enemy of good”. Infatti, oggi ho imparato a non punirmi per i bicchieri, ma la prossima volta mi ricordo di farne scorta. La strada di chi porta avanti così il suo lavoro è sempre in salita. La fine, tra l’altro, per me, non esiste. Si deve sempre andare avanti;
  2. a fare meglio. Se miri a diventare qualcuno, a fare la differenza, a essere ricordato per il tuo lavoro, a cambiare qualche vita con le cose che fai, a essere soddisfatto di te, sei proprio obbligato a tenere l’asticella sempre altissima e a fare del tuo meglio. E perché la gente si ricordi di me e di noi, mi sembra logico, dobbiamo fare le cose bene. Mica si ricorderanno di noi solo perché siamo immensamente belli e simpatici, no? Ma cosa vuol dire fare meglio? Per me, fondamentalmente, fare meglio si riduce a una cosa: circondarmi di gente che è meglio di me. Io conto meno del due di picche, non sono un genio, non ho una grande mente, idee rivoluzionarie, sono provvista di grandi abissi di ignoranza, però lavoro come un mulo e so mettere insieme le persone. Quelle che sono meglio di me. Può essere quell’esperto di marketing che con il suo blog mi insegna qualcosa che poi metto in pratica, può essere Nene a cui affido una parte di lavoro perché so che è più brava di me, può essere cercare di conoscere più gente figa possibile per farsi venire stimoli. Perché, come diceva in un post la mia saggia amica Beatrice, se tu sei il più interessante della tua cumpa c’è qualcosa che non va;
  3. conoscere i propri limiti: ehi, non sono proprio scema (mmh, non fare quella faccia lì, eh?). Lo so che, anche se voglio contare qualcosa (uno, due, tre… guarda che non dicevo “contare” in quel senso!), non avrò mai un’azienda con 100 dipendenti, fatturati a sei zeri, copertine su Vanity Fair e il presidente non mi consulterà di certo per sapere il mio pensiero sulla situazione culturale italiana. Lo so che posso arrivare fino a un certo punto. Quel punto però, per ora, è molto lontano: posso ancora camminare un bel po’. Poi, va’ a vedere, magari li supero anche i miei limiti. Chissà, grazie a dio non so prevedere il futuro. Per il momento, mi sono comprata un bel paio di scarpe comode. Poi vediamo come va!

Stiro e ammiro

Sono una grandissima fan dell’ambizione. La gente ambiziosa, io di solito la ammiro. Chi sta nel suo angolo non mi stimola, non mi ispira, non mi pungola a far meglio. Gli ambiziosi, invece, mi spingono a diventare la versione migliore di me. Chissà se anche io faccio questo effetto a qualcuno là fuori? Sarebbe bello, no?, pensare che i tuoi sogni possano essere un generatore di sogni per gli altri. Insomma, quest’anno ho deciso che me ne fotto: non mi vergogno dei miei sogni e delle cose che vorrei ottenere nel lavoro. E tu?

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