Com'è che ho deciso di fare il lavoro che faccio?
Com'è che ho deciso di fare il lavoro che faccio?
5 Ottobre 2017

Com’è che ho deciso di fare il lavoro che faccio?

A me fare l’editore è un po’ capitato tra capo e collo. Non ci avevo mai pensato. Anche perché, ammettiamolo, non è proprio uno di quei lavori che uno sogna di fare quando va alle elementari. E nemmeno dopo, quando cresce e va al liceo.

W la michetta

Io, per dire, da bambina sognavo di fare la panettiera. Lo dicevo sempre a tutti. C’era ‘sta panetteria vicino all’asilo e io mi ero proprio fissata che volevo fare la panettiera. Mia nonna era contentissima. Mia madre: “Sai che lavori di notte e vai a dormire alle 5 se va bene?”. Uh, lì, la mia fede verso l’arte bianca ha iniziato a vacillare. Forse non il progetto di vita giusto per me che son tanto dormigliona. Così, complice la visione di Indiana Jones e il tempio maledetto, ho pensato per qualche tempo di fare l’archeologa. Poi la maestra Alma ha detto che, a volte, negli scavi si trovavano anche escrementi di milioni di anni fa. Uh, cacca paleozoica? No, thanks, baby!

La Mereghetti da Pinerolo-city

Da ragazzina, invece, avevo sogni più classici e, infatti, avrei voluto fare la giornalista. Italiano era una delle mie materie preferite, scrivere mi piaceva molto, mi dilettavo di poesia (molto tormentata e struggente, scritta principalmente con una biro viola profumata) e stavo anche iniziando a scrivere il mio primo (tormentato e struggente) romanzo (forse grazie al cielo mai compiuto). Però, ero già allora molto pragmatica e pensavo che di scrittura non si vivesse. Ergo: la giornalista.

Poi, un’evoluzione sul tema: ho sognato per anni di fare la critica cinematografica. Ho sempre adorato il cinema, amavo scrivere: bingo!

Come vedi, fino ai 19 anni, di editoria manco la minima traccia. Quindi, per seguire le mie ambizioni, mi sono iscritta a una famosa scuola di scrittura e, uscita da lì, ho capito che non capivo niente, che non sapevo che cavolo fare della mia vita, che non sapevo se volevo lavorare ma sapevo che dovevo… Insomma, ero confusa a livelli inauditi. Volevo ancora fare il critico, ma in quei due anni avevo anche capito che mi garbava moltissimo anche il processo di produzione del libro, in particolare la fase di editing del testo insieme all’autore.

Dopo un paio di mesi, durante i quali ho mandato curriculum a destra e manca senza successo, e dopo un paio di corsi di editoria e dintorni, ho aperto Zandegù.

Però, appunto, come hai visto, non è fare l’editore che fosse il mio sogno di bambina. E tra archiviare il sogno di anni di liceo (senza grandi traumi a dire il vero), il capire che un mestiere mai considerato prima mi garbava e poi decidere di farlo da sola, mettendomi in proprio a 21 anni, senza saperne un tubo, beh ecco… tra tutte queste cose c’è stato lo zampino di mio papà.

No more pippe

Mio papà non è uno di quelli che si fermano a farsi troppe pippe mentali: hai fatto una scuola di scrittura, dove si lavorava con libri ed editoria? Boh, dopo fai qualcosa legato a quel tema lì, non è che vai a fare il panettiere (se mai mi fosse tornato il fuoco sacro dei 5 anni).

È stato lui a dirmi, durante la mia estate post-scuola, quando ero piena di confusione e cercavo impiego: “Ma perché non provi ad aprire una casa editrice?”.

Io non so perché non avessi una paura blu, o perché non preferissi fare qualcosa d’altro, tipo studiare ancora o valutare altre professioni, o dedicarmi alla ricerca di un lavoro più stabile. Io non so perché ho detto sì, ma l’ho fatto. Forse in quel momento avevo solo bisogno di una mano che mi indicasse la via, e qualunque via sarebbe andata bene.

E così l’ho imboccata. E siccome odio non portare a termine le cose che dico di voler fare, mi ci sono buttata anima e corpo e sono finita a fare l’editore.

Cosa si può imparare da questa edificantissima storia?

Io, almeno, ho imparato 4 cose.

  1. I piani possono cambiare in corsa e non è detto che le cose vadano poi così male, infatti è andata che ho iniziato ad amare un lavoro che non conoscevo, che non sapevo fare e che, giorno dopo giorno, è diventato la mia vita.
  2. La vita è imprevedibile (ma dai? Dillo che non te n’eri mai accorto!). Tu ti vedevi a fare una cosa e poi, toh, ecco che fai ebook e corsi. Che lavori la sera (una cosa che pensavi avresti odiato con tutta te stessa e invece poi non è tanto male).
  3. I sogni sono cose che si scordano al risveglio (o almeno a me capita così). Le cose belle, quelle che sono spesso sinonimo di sogno nell’accezione comune, non si programmano (almeno secondo me), capitano e basta. Bisogna saperle riconoscere subito e prendere tutto il buono che c’è.
  4. A volte fidarsi degli altri non è tanto sbagliato, anche se io ho proprio difficoltà a fidarmi ma ogni tanto cedo e mi butto. Capita di sentirsi persi e di non sapere dove cappero andare. E chi ti vuole bene magari ha la vista molto più lunga della tua, no?
  5. A volte non decidi tu di fare una cosa, sembra quasi che sia quella cosa che decide di farsi te. No, scusa, così non suona tanto bene e sembra una zozzeria! Insomma, però hai capito cosa voglio dire, no?

 

E questa, caro amico che mi leggi dal tuo pc o telefonino (o tablet, perché no?), è la storia di come, senza che l’avessi mai manco pensato una volta in tutti i primi anni della mia vita, sono finita a fare il lavoro che faccio.

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