Solo cose belle
Solo cose belle
26 Ottobre 2017

Solo cose belle

A me quelli che sono sempre felici mi hanno sempre puzzato di strano. Sarà invidia, non lo so, ma Io-penso-positivo e Think-Pink sono due modi di vedere la vita che proprio non mi appartengono e che mi irritano tantissimo. Nel mondo, sono certa ci sarà chi è davvero così. Ma conosco tanti che gridano ogni 3×2 che la vita è bella, sto benissimo, tuttoapposto, sono felice come una Pasqua, eccetera e lo fanno solo perché sennò si butterebbero giù da un balcone.

Questione di brufoli

Insomma, è anche vero che ognuno fa come può. Ma io sono una strenua sostenitrice dell’accettare che la vita sia fatta anche dal nuvolone di Fantozzi, dai periodi di merda colossale, dai pianti, dai lamenti, dal dolore, dalla fatica boia, dai brufoli giganti al primo appuntamento, dal ciclo il giorno della partenza per le ferie, dalle figuracce davanti ai clienti, eccetera eccetera. Mi sono capitate tutte ‘ste cose e sono ancora qui per raccontarlo.

Eppure, pare che sui social non si debba mai fare. Sui social dobbiamo essere la versione migliorata e felicissima di noi stessi. La versione cheerleader coi pon-pon insomma. Nelle foto dobbiamo essere phonati, senza occhiaie, ben vestiti, allegri, sorridenti, pieni di amici. Nelle didascalie dobbiamo spargere confetti, amore, positività, giornate di lavoro da sballo, promozioni, successi, limoni duri con bonazzi, amicizie indissolubili, affaroni nei negozi, serate epiche come mai prima nella vita.

Non prendiamoci per il culo, ok?

Si sa che la vita non è così. È imperfetta e faticosa. Io spero di raccontarlo bene, almeno dal punto di vista lavorativo, su questo blog. Come sai se ci segui da tempo, racconto della fatica, delle emozioni negative, della confusione che regnano sovrane in Zandegù e nel mio cervellino.

Il blog non vuole essere un posto sicuro (anche se ogni tanto persino io racconto di qualche nostro successo), perché non vuole fare l’apologia del lavoro in proprio come fonte di sicuro successo. E nemmeno vorrei che le persone pensassero sia facile lavorare nella cultura in modo creativo. Non ho mai trovato una strada già battuta, quindi figuriamoci se sto qui a indorare la pillola.

Non sarei onesta con me stessa e con gli altri, se dicessi che va sempre tutto bene o se decidessi di raccontare soltanto le cose belle. Le persone potrebbero credere che dalle nostre parti vada sempre tutto alla grandissima e non è così, fidati.

La storia della foto che piango

E a che pro, poi? Per auto-tirarsi su di morale? Per menarsela?

Chi mi conosce bene, sa che sono una persona estremamente pragmatica: l’infelicità e le sfighe le so riconoscere e le guardo dritte in faccia. Mi fanno paura ma le affronto meglio che posso e non ho bisogno di cantarmela e suonarmela per farcela. Vantarmi, poi, non mi è mai piaciuto e non ne vedo proprio il motivo.

Qualche settimana fa ho postato, sul mio profilo personale di Instagram, una foto dove piango. Non è una bella foto, nel senso che ho il naso gonfio, il moccolo, gli occhi lucidi e il mascara che cola dappertutto.

L’ho scattata per raccontare che ci sono periodi di merda e che non raccontarli su Facebook o su Instagram non li rende meno presenti. Nascondersi dietro la perfezione dei social non ci rende felici.

Il mio era una discorso molto articolato che è stato capito e no. Tanti mi hanno detto: “Forza, passerà, andrà tutto bene”. Però farmi fare pat-pat non era il mio intento. La foto era vecchia, relativa a un momento di tristezza passato. Quando l’ho postata stavo bene, ero felice. L’ho pubblicata per aprire un confronto, per chiedere agli altri perché ci ostiniamo a vivere in questa bolla di perfezione posticcia.

“Certe cose”

Alcuni mi hanno detto che certe cose non si postano e si lavano i panni sporchi in casa, non di certo online. Una persona in particolare mi ha detto: “Non voglio più vederle certe cose”. Boh, allora non seguirmi, ho pensato.

Da quando delle lacrime e un po’ di fatica sono una vergogna, uno stigma, una cosa da nascondere, da non voler vedere, da girare la testa dall’altra parte?

La gente è superficiale? I social devono davvero essere il nostro parco giochi e stop? Sono io a essere esibizionista, come mi hanno detto, tra i vari commenti?

Io non so se c’è una risposta precisa. Ma so cosa voglio raccontare io con i miei profili personali e con quelli di Zandegù. Voglio raccontare la mia verità, come donna e come piccola impresa. E la mia verità è che si fa fatica, che certi progetti sono dei fallimenti su tutta la linea e si sta male, che si perdono soldi, energie, notti di sonno.

Che c’è la parte zuzzurellona ma anche quella che soffre, piange, si arrabbia, urla, fuma (dalle orecchie, ma anche delle sigarette, per calmarsi).

Ultimamente, questo è un tema molto caldo tra le persone che mi sono intorno e che si occupano per lavoro di comunicazione. Abbiamo iniziato un ragionamento su quello che postiamo e perché lo facciamo e mi sembra, qualunque sia la nostra personale risposta, una cosa buona. E tu cosa ne pensi?

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